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I testimoni sempre con noi

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A Scutari è prossima la beatificazione di trentotto Martiri del regime comunista

fra Pier Giorgio Taneburgo

Gli anni del terrore. È arrivato finalmente il giorno tanto atteso. È sabato 5 novembre 2016 la data stabilita per la beatificazione di trentotto Martiri della persecuzione comunista in Albania. Essi coprono un intervallo ampio di anni, tolti di mezzo dal 1945 al 1974. Si tengono stretti fra di loro, abbracciando anche le famiglie albanesi, che hanno molto sofferto per colpa del regime di “zio Enver”, come alcuni nostalgicamente e incredibilmente continuano a chiamare il dittatore. Non sono nati tutti in Albania, ma anche in Kosovo, Italia, Polonia e Germania. Hanno dato la vita per la fede in Dio e per la patria. Si tratta di due vescovi, sacerdoti diocesani, religiosi francescani e gesuiti, un seminarista, alcuni laici e una postulante delle suore stimmatine, Maria Tuci.


Dalla Mirdita a Scutari. Comincerò col raccontarvi la storia semplice di Maria, l’unica donna di questo gruppo. Sono andato apposta ad incontrare e conoscere sua sorella Liza, una nonnina di 86 anni. Forse non ha percezione esatta di quel che sta per accadere nella città di Scutari, ora che giunge il momento così desiderato e preparato dal lavoro di tanti. Maria era una giovane della Mirdita, una delle regioni più povere dell’Albania, finita in una durissima rappresaglia per l’uccisione del segretario del Partito comunista della sua zona.

Subì interrogatori, vessazioni, il carcere per circa un anno e torture che la portarono in ospedale per le gravissime conseguenze riportate dal suo fisico. Aveva respinto con forza le proposte indecenti dei suoi carnefici, poiché desiderava onorare la sua dignità di donna e poi diventare suora. Quasi impossibile per lei sapere che il 24 giugno 1950, a Roma, Papa Pio XII aveva canonizzato Maria Goretti. Molto bella, occhi azzurri, coraggio da vendere, Marietta moriva in una stanza d’ospedale a Scutari, esattamente quattro mesi dopo, il 24 ottobre 1950, mentre i suoi parenti nel frattempo erano finiti internati in un campo, nel sud dell’Albania. Venne recapitato loro un telegramma con la scarna notizia.

Un clima da Grande Fratello. Tutta la nazione rimaneva stretta in una morsa di controlli, persecuzioni, un giro incredibile di spie e di sospetti. Scrive George Orwell nel suo romanzo, 1984: «Nessuno ha mai visto il Grande Fratello. È un volto sui manifesti, una voce che viene dal teleschermo. Possiamo essere ragionevolmente certi che non morirà mai. Già adesso non si sa con certezza quando sia nato. Il Grande Fratello è il modo in cui il Partito sceglie di mostrarsi al mondo. Ha la funzione di agire da catalizzatore dell’amore, della paura e della venerazione, tutti sentimenti che è più facile provare per una singola persona che per una organizzazione». Sembra una descrizione perfettamente calzante su Enver Hoxha, con le numerose sciagure ascrivibili a lui e a pochi altri compagni nell’Albania di ieri e di oggi.

Già prima della Seconda guerra mondiale, il Nord era la terra ove il cristianesimo si era distinto in molti modi, soprattutto con la creazione di una classe dirigente, figure di intellettuali, politici e artisti, venuti fuori dalle scuole cattoliche scutarine. Ai vescovi martiri fu richiesto di fondare una Chiesa patriottica nazionalista, in antitesi con la Chiesa cattolica romana. Nessuno di loro ovviamente volle collaborare col regime e proprio per questo la loro dignità fu calpestata.

La Sicurezza di poter morire. Qualche sacerdote, dopo aver subito un processo farsa, la prigionia e privazioni di ogni genere, fu rinchiuso in manicomio, perché la sua sofferenza crescesse giorno per giorno. Nelle celle si manteneva un estremo, disumano rigore, con espedienti quotidiani per rendere disagiata la vita. Per esempio, coprire d’acqua i pavimenti e far marcire costantemente i detenuti in quello stato, anche d’inverno. La polizia segreta, chiamata Sigurimi (la Sicurezza), riceveva completa fiducia da parte del regime e operava in tutto il territorio con una fitta rete di sgherri e prigioni, anche diverse in una stessa città, specializzate nelle successive tappe verso l’eliminazione.

Spesso i sacerdoti presi di mira avevano studiato filosofia e teologia all’estero, con gradi accademici conseguiti in Italia, Bosnia, Innsbruck e Graz (Austria), Lovanio (Belgio) o alla Sorbona di Parigi. Dunque conoscevano le lingue straniere, avevano trasmesso ricchezza di Vangelo alla gente, insegnato un mestiere, sostenuto i meno abbienti. Ed erano accusati dai comunisti di essere reazionari, conservatori, nemici del proletariato. Accuse che si manifestavano con un’incredibile, diffusa sete di sangue e un modo selvaggio e primitivo di gestire la giustizia. Le testimonianze parlano chiaro: i preti venivano condotti in catene in giro per Scutari, affinché la gente sapesse cosa attendeva chiunque mostrava di credere in Dio. Solo di dieci dei trentotto beati è stato possibile recuperare i resti mortali. Si perpetrò una condanna della memoria con alcuni corpi seppelliti nel fango e altri dati in pasto alle bestie.

Martiri per il dialogo. Penso che gli stessi Martiri considerassero incredibile l’idea di trovarsi al centro di una simile avventura, una morsa di morte aleatoria, viste le condanne a volte commutate in lunghi anni di lavori forzati o di prigionia. Chi diede loro forza spirituale e resistenza fisica? Di sicuro la Parola del Signore, che non lascia mai soli. Poi la preghiera silenziosa e l’esperienza della fraternità con gli altri condannati: ove c’è un uomo da sollevare, la vita assume un senso pieno. Donarsi per ritrovarsi, magari in pochi metri quadrati di cella e con credenti di altre religioni, come successe con i perseguitati musulmani. Il martirio inflitto in Albania ha una chiara e speciale valenza a sostegno del dialogo ecumenico e interreligioso.

Qui dobbiamo ricordare l’opera di studio e appassionato servizio alla causa dei Martiri, svolta da P. Leonardo Dipinto, frate minore di Bisceglie. Ora che si trova in Cielo gioisce e rende grazie al Signore per il momento che sta giungendo. Queste sorelle e fratelli stanno da sempre nella gloria e si fanno ancor più vicini ai bisogni dell’Albania. Un Paese che sembra aver sconfitto il comunismo e adesso purtroppo soffre evidenti piaghe socio-economiche come partitismo, statalismo, disoccupazione, diffusa emigrazione per sopravvivere. Sono stati servitori della divina Misericordia in una porzione di Chiesa arrossata di sangue e ferita dall’odio. Più che prossimi beati sicuramente sono già nel numero dei santi.

Signore, Padre buono, che hai mandato nel mondo tuo Figlio per riunire i popoli nella lode del tuo nome, ti supplichiamo: per le preghiere di Mons. Vinçenc Prenushi e dei suoi compagni martiri, rendi più forte la testimonianza della Chiesa in Albania e in ogni angolo della terra. Amen.

Chiunque volesse partecipare alla beatificazione che avverrà il 5 novembre c.a., nella chiesa cattedrale di Scutari, presieduta da S.Em. il Card. Angelo Amato, può mettersi in comunicazione con i frati cappuccini di Tarabosh tramite posta elettronica, all’indirizzo: piergt [@] tiscali.it; o con WA sul n. 339.7284268; oppure sul n. di tel. albanese: 00355.675114149. Un’occasione di grazia per sentirsi in fraternità con il Cielo dei beati e dei santi. Vi aspettiamo!

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